Cos'è?


Voce alla Poesia, voce ai poeti, specie a quelli meno conosciuti.

Voce di terra, di vento e di dialetto .

Voce di uomini e donne terribili.

Voce a volte anche mia..manina piccola che cerca la tua.

domenica 27 marzo 2011

Le passanti - Fabrizio de Andrè



Io dedico questa canzone
ad ogni donna pensata come amore
in un attimo di libertà
a quella conosciuta appena
non c'era tempo e valeva la pena
di perderci un secolo in più.

A quella quasi da immaginare
tanto di fretta l'hai vista passare
dal balcone a un segreto più in là
e ti piace ricordarne il sorriso
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
in un vuoto di felicità.

Alla compagna di viaggio
i suoi occhi il più bel paesaggio
fan sembrare più corto il cammino
e magari sei l'unico a capirla
e la fai scendere senza seguirla
senza averle sfiorato la mano.

A quelle che sono già prese
e che vivendo delle ore deluse
con un uomo ormai troppo cambiato
ti hanno lasciato, inutile pazzia,
vedere il fondo della malinconia
di un avvenire disperato.

Immagini care per qualche istante
sarete presto una folla distante
scavalcate da un ricordo più vicino
per poco che la felicità ritorni
è molto raro che ci si ricordi
degli episodi del cammino.

Ma se la vita smette di aiutarti
è più difficile dimenticarti
di quelle felicità intraviste
dei baci che non si è osato dare
delle occasioni lasciate ad aspettare
degli occhi mai più rivisti.

Allora nei momenti di solitudine
quando il rimpianto diventa abitudine,
una maniera di viversi insieme,
si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti a trattenere

(Testo tratto da una poesia di Antoine Paul.Musica di Georges Brassens)




....

martedì 22 marzo 2011

Giovanni Giudici - Richiesta di assistenza in un'ipotesi di suicidio



Essendo lo scartamento
Un metro e dieci eccezion fatta dell'Urss
E la mia altezza
Dalle piante dei piedi alle radici dei capelli
Cinquantasette forse centimetri in più
E' affatto ragionevole
Supporre che stendendomi di traverso
Sul binario a faccia in giù
Potrei salvare la testa spiccata dal busto
E i piedi con un po' di caviglie
E ne avanzerebbe - ma non pretendo
Che tu mi stia vicina fino all'ultimo
Ma almeno fino al penultimo momento
Quando i due fari
Foreranno la galleria
E raccontarmi inezie dirmi favole
Con la tua voce - su dormi buono e contento
E poi scappare e quando fosse passato
Il treno che i giornali frettolosi
Scriverebbero che mi ha maciullato
Ritornare sul posto chiamar gente
Senza bisogno di precisare
Che mi conoscevi biblicamente
Ma dichiarando che lì per caso
Trovandoti a transitare
E senza perdere d'occhio i periti settori
Raccattanti i pezzi del mio corpo
Aspetta con un pretesto ti prego di controllare
Tu stessa personalmente prima di andartene
Via per sempre.


(Giovanni Giudici - Richiesta di assistenza in un'ipotesi di suicidio)



quale treno
dovresti mai temere?
a morire dopo tutto
sarei io
non ti chiedo di
tenermi la mano
e nemmeno il filo
del discorso
che penzola interrotto...
solo un cenno con la fronte
da dietro a quel vetro
che solo ora m'accorgo
essere un finestrino.




domenica 20 marzo 2011

Sulla Poesia

Da "El mondo quel cin de sput" di Luciano Caniato

[...]

Adio tosat. La poesia l'è an fil
che liga col so oro-gnent.
Fe' cont che la madaja
sie' sti sgrisoloi che core
par la val del cor,
an mat che crede ancora
inte le coche-idee,
ch'el ponde el gnint
spetando an fior de maraveje.




Fredrigo Fasnik-99



Abbiamo davvero così

tanto tempo a disposizione
per lasciare a macerare
questo amore?



domenica 13 marzo 2011

Dino Campana - Una strana zingarella


Tu sentirai le rime scivolare
In cadenza nel caldo della stanza
Sopra il guanciale pallida a sognare
Ti volgerai, di questa lenta danza
Magnetica il sussurro a respirare.
La luna stanca è andata a riposare
Gli ulivi taccion, solo un ubriaco
Che si stanca a cantare e ricantare:
Tu magra e sola con i tuoi capelli
Sei restata. Nel cielo a respirare
Stanno i tuoi sogni. Volgiti ed ascolta
Nella notte gelata il mio cantare
Sulle tue spalle magroline e gialle
I capelli vorrei veder danzare
Sei pura come il suono e senza odore
Un tuo bacio è acerbetto e sorridente
E doloroso - e l'occhio è rilucente
È troppo bello, l'occhio è perditore.
Sicuramente tu non sai cantare
Ma la vocetta deve essere acuta
E perforante come il violino
E sorridendo deve pizzicare
Il cuore. I tuoi capelli sulle spalluccine?
Ami i profumi? E perché vai vestita
Di sangue? Ami le chiese?
No tu temi i profumi. Il corpicino
È troppo fine e gli occhi troppo neri
Oh se potessi vederti agitare
La tua animuccia tagliente tremare
E i tuoi occhi lucenti arrotondare
Mentre il santo linfatico e canoro
Che dovevi tentare
Spande in ginocchio nuvole d'incenso
Ringraziando il Signore
E non lo puoi amare
Christus vicisti
L'avorio del crocifisso
Vince l'avorio del tuo ventre
Dalla corona non sì dolce e gloriosa
Nera increspata movente
Nell'ombra grigia vertiginosa
E tu piangi in ginocchio per terra colle mani sugli occhi
E i tuoi piedi lunghi e brutti
Allargati per terra come zampe
D'una bestia ribelle e mostruosa.
Che sapore avranno le tue lacrimucce?
Un poco di fuoco? Io vorrei farne
Un diadema fantastico e portarlo
Sul mio capo nell'ora della morte
Per udirmi parlare in confidenza
I demonietti dai piedi forcuti.
Povera bimba come ti calunnio
Perché hai i capelli tragici
E ti vesti di rosso e non odori.


giovedì 10 marzo 2011

Il circo - Luciano Erba


Un circo è un circo, anche un piccolo circo.
Il mio paese sembrava più leggero
la sera, quando issata l'alta cupola
le bandiere si alzavano nel cielo,

quando un drin drin di giochi e carabattole
faceva più spediti il cuore e i passi
i colori apparivano più veri
nell'aria nuova, era marzo, era la sera,

soprattutto l'azzurro, la lontana
linea dei monti, il fumo dei camini
e la notte al di là del campanile
che attendeva la fune del funambolo.

Partiva il circo la mattina presto.
Furtivo, con trepestìo di pecorelle,
io poichè, fatti miei, stavo già desto
vedevo svanire il circo e poi le stelle.

mercoledì 9 marzo 2011

Francesco De Gregori - Povero Me



Cammino come un marziano, come un malato
come un mascalzone, per le strade di Roma
vedo passare persone e cani
e pretoriani con la sirena
e mi va l’anima in pena
mi viene voglia di menare le mani
mi viene voglia di cambiarmi il cognome
cammino da sempre sopra i pezzi di vetro
e non ho mai capito come
ma dimmi dov’è la tua mano
dimmi dov’è il tuo cuore?

Povero me, povero me, povero me
non ho nemmeno un amico qualunque
per bere un caffè
povero me, povero me, povero me
Guarda che pioggia di acqua e di foglie
che povero autunno che è
povero me, povero me, povero me
mi guardo intorno e sono tutti migliori di me
povero me, povero me, povero me
guarda che pioggia di acqua e di foglie
che povero autunno che è
guarda che pioggia di acqua e di foglie
che povero autunno che è.

Cammino come un dissidente, come un deragliato
come un disertore, senza nemmeno un cappello
o un ombrello da aprire, ho il cervello in manette
Dico cose già dette e vedo cose già viste
i simpatici mi stanno antipatici
i comici mi rendono triste
mi fa paura il silenzio
ma non sopporto il rumore
dove sarà la tua mano, dolce
dove sarà il tuo amore?

Povero me, povero me, povero me
non ho nemmeno un amico qualunque
per bere un caffè
povero me, povero me, povero me
guarda che pioggia di acqua e di foglie
che povero autunno che è
povero me, povero me, povero me
mi guardo intorno e sono tutti migliori di me
povero me, povero me, povero me
guarda che pioggia di acqua e di foglie
che povero autunno che è
guarda che pioggia di acqua e di foglie
che povero autunno che è…



domenica 6 marzo 2011

L'eremita - Max Gazzè



Salutò aggrappato ad un abbraccio
e le mani, veloci, sulla valigia
un cartone, ignaro e sorpreso,
a chiudere il pane fra i libri
Amico curioso a strisce
come la camicia svogliata
e gli umori tremendi
colorati per ogni notte in bianco
L'eremita
è un vuoto scalzo che misura il tempo
L'eremita
cammina la sua vita da solo

Quando decise di partire
e disse "addio" con volto non vero
e lui cammina piangendo storto
e nulla che rifletta il male
se non, acque immobili
a specchiare l'urlo del silenzio
oppure un occhio obliquo
che guarda e ti sorride male

L'eremita
un aquilone che volteggia nell'aria
L'eremita
un urlo che scolpisce l'anima

L'eremita coltiva la sua terra
e mischia il ricordo col fango
e l'uomo guarda il suo vestito
da tempo irriverente
rumore raro, di natura dormiente
che mi strappa la voglia di tornare
dove una folla di eremiti
organizza abbracci a vanvera

L'eremita
che conosco, è una memoria di schiena
che mi invita a pensare
che non voglio tornare


martedì 1 marzo 2011

Presenza - Alejandra Pizarnik


La tua voce
in questo non potersene uscire
le cose
dal mio sguardo
mi spossessano

fanno di me un vascello in un
fiume di pietre

se non è la tua voce
pioggia sola nel mio silenzio di
febbri
tu mi liberi gli occhi
e per favore
parlami
sempre.