porti tremori in spirito
vibrazioni silenziose,
rintocchi gravi di
campane mute,
che a me solo
è dato di captare.
Ed io
solo
resto in ascolto
e veglio.
Candida la tua figura al solo apprestarsi al palco attrae l'occhio del bue.
La battuta seguente è una malattia. E comunque è venerata.
Accorrono poi i monatti a raccogliere le tue suppurazioni. Ogni goccia che stilla dalla tua piaga, detergono e conservano, tra bende bianche diventate scure.
Non ti servono campanellini o differenti segnali, il loro orecchio è sempre teso, pronto al tuo apparire.
Ecco lo sconforto dei presenti: dalle tue mani fai colare un sole liquido, oro e nero verso le mie che, sole, non lo riescono a contenere.
Un morso di sole, che mi uccide le palpebre
un taglio netto.
Netto contrasto di cuori legame dissonante
di una danza d'anima.
Animale assorto nel tempo dell'attesa
che non pesa e forma
richiama sotto coperte di cartavetrata.
Vetrata che si frantuma davanti alla nostra risata,
alla nostra verità, nel fondo del bicchiere,
del lago sommerso dagli sguardi dei passanti
mentalmente assenti.
Legati alla cintura d'idiozia
che incatena e li trapassa,
dando un senso all'esistenza insipida,
seduta in un angolo ad annuire
a discorsi sul tempo che passa.
Passa, come l'uva in qualche sorta di dolce,
in questa dolce sorte toccata a noi.
Cossa che sia no so
sta corente
che da drento
me ingruma
e cori,
me cori drento
e zerca sfogo, zerca
e lo trova
zigando
ma dai mi oci