Cos'è?


Voce alla Poesia, voce ai poeti, specie a quelli meno conosciuti.

Voce di terra, di vento e di dialetto .

Voce di uomini e donne terribili.

Voce a volte anche mia..manina piccola che cerca la tua.

giovedì 15 dicembre 2011

Carolus L. Cergoly

Poesia d'un Barbon
scrita per farse coraggio
sotto del Ponterosso
su carta d'imballaggio

Senza nissun
che te dia qualcossa
magari anche una piada
un pugno una sberla
senza una strada
che porti a qualche numero
per dir
stago de casa qua
senza una man
tenera de donna
che coccoli in amor

Coparse e dopo
l'Isola dei Morti
in quadro la go vista
un polveron de noia
a l'infinito

Morto isolà va ben
ma
almeno saver qualcossa dei vivi
se gà piovù in Farneto
se bora scura
fa rabbiar el mar

Vita te voio ben
ma no ogni giorno
domenica in loculo
ma lunedì alle cinque
zò in Ponterosso
vivo


domenica 4 dicembre 2011

Pietro Gori - Odio

Va, ribelle pensiero, in mezzo agli uomini
e sciogli il triste canto,

il singhiozzo feral, che non ha lacrime,
e che non vuol rimpianto.

Tu nel cospetto del morente secolo
canta la benedetta

strofa de l'odio; sarai tu l'assiduo
tarlo di mia vendetta.

Maledetta la patria! De le misere
plebi madrigna infame,

bollata in fronte da lo stigma tragico
dei morenti di fame.

E maledetto iddio! Bieca fantasima
di menti päurose,

puntello antico di vecchie tirannidi
da la marèa corrose.

E maledetta la virtù! l'ipocrita
iridiscente vesta,

onde si cela la viltà magnanima
de la canaglia onesta.

Maledetto l'amore, che nei fulgidi
voli del mio pensiero

vindice vidi, e dei redenti popoli,
immortal cavaliero!

Sia maledetta la mia fè! L'indomita
speme ne l'avvenire;

maledette del cerebro, che palpita,
l'entusiastiche ire!

Maledetto chi opprime, e su l'anonima
folla sospinge il piede!

maledetto chi sente, e geme, e lacrima!
maledetto chi crede!

Maledetti gli oppressi! I turpi, i trepidi
da la dimessa voce,

che senza una bestemmia e un urlo strisciano,
vili, sotto la croce!

Sotto la croce eterna del martirio,
proni a un idol già morto,

sbattuti dal furor de la miseria
senza speme o conforto!

O mondo! da l'erèmo solitario,
in cui giaccio obliato,

ed ove mi hanno i tuoi marosi torbidi,
incolpevol, gittato,

su te mi levo, e strappo la tua maschera,
o lenòne impudico,

e mentre l'odio tuo final te lacera,
io, vil! ti maledico.


giovedì 1 dicembre 2011

'Na storia de guera-Manlio Malabotta


A Citanova
vizin de vila Rainis
(che se gavessi crompà
fussi stada par mi
pochi dani de guera
e, fin che vivo,
tanta maliconia)
te me gà invità
a un tè
'n casa tua.
Un tè
co' i biscotini
bevù
da do bravi putèi.
Po'
'n tè tra 'n altro
e le tete de più.
Te ieri de pel
'lora de moda,
biondo:
raza eleta
e valchiria
de sentimenti.
Un regalo
par mi, moreto...
Ma semo 'ndai
'vanti l'istesso,
ti parlando
solo ben dei tedeschi,
mi tasendo
e fazendo l'amor.
Pa' 'l resto no' me fidavo
e cussì te go tasù tutto
co' go dovesto scampar
cascà drento, de mona,
in t-una "missione alleata".
Gavemo finida la guera
mi sconto 'n casa de Emilio,
ti sfolada sul Piave
par via del prefeto
trasferido de Pola a Treviso.
Te go zercada de novo
e te go trovada a Vidor
in t-una casa imbiecada:
sul cortil
a saludarme
le tue peze
sventolava come bandierete,
ma no iera bandiere
de amor.
Al mio primo slongar
de le man
la tua sentenza xe stada
"buoni amici, soltanto..."
e saltado xe fora
'l tedesco,
'l vero amor finalmente,
felvèbel in man di inglesi:
muro biondo
fra ti e fra mi.
Dopo,
no go savudo più gnente,
gnanca chi sia rivado
par primo
a sistemar la tua storia:
se 'l tedesco
o tu' marì prigionier
o 'l prefeto
o qualchidùn altro.
Ma se ghe penso,
passai tanti ani,
più che de raza
teutonica o nostrana
te ieri inveze
raza de putana.


lunedì 28 novembre 2011

La giacca è polverosa - Agostino Colombo


La giacca è polverosa, la camicia ha il collo unto e mancano

i bottoni;

più che i bottoni mi mancano le tue mani e di prenderle

nelle mie

e tenerle con me perché sei una donna di terra e io

un uomo di terra.

Ti ho mai parlato delle scarpe? Sono stanche e con stringhe

vecchie

e i calzoni molli di fustagno stanno su con la corda e sui

prati

sfiorano col bordo i fiori e le erbe profumate – guardo indietro,

resta il segno del passo ma poi l’erba si raddrizza subito

perché vado via leggero; se tu venissi a far la pellegrina

con me

al santuario della terra potremmo accenderlo insieme il

cero di sego

e ringraziare; là c’è un albergo per chi passa la notte e una

locanda:

ci tratteremmo bene: fare l’amore a lungo e dormire il

mattino.

Ma se non vieni io vado lo stesso a ringraziarla questa terra.



lunedì 17 ottobre 2011

La pendola


La pendola mi ha tramortito.
Dal pavimento, con la guancia a terra
la osservo.
Alta sopra la credenza
lineare coincidenza
la sua alternanza.
Ed in questo frastuono
colorato di pulviscolo
non so più se conta
il suo battito
o la pausa.



domenica 16 ottobre 2011

Fredrigo Fašnik - Elemosina fiele


Ricerco il vuoto come soluzione
mi aggrappo alla porpora del velo
ingoio sale a manciate secche
procurando istanti di pace al respiro.
Senza strappo definitivo, od ulteriore
trascino ormai secco il cordone ombelicale
che puro fiele elemosina, quale sua linfa
e anelando al baratro
io sospiro.


lunedì 3 ottobre 2011

Gli zingari - Romano Pascutto (traduzione)


Io non so se a settant'anni partirei ancora
con i carrozzoni degli zingari. Quand'ero bambino
mi hanno portato via il cuore dentro a un sacco
come si diceva di loro, ladri di oro
e di innocenti. L'oro era falso e poco;
i bambini troppi, non costavano così cari.
Poi da poeti si resta sempre un poco zingari
e anche legati a tavolino si va in giro
per il mondo. Partire con i carrozzoni forse no,
ma a conti fatti, considerato tutto lo zinganaio,
preferisco quelli che partono a quelli che restano,
questi qua si ladri veri, falsi e ipocriti,
chiusi in casa con paure inventate: come cani
fanno la guardia se una zingara asciuga al sole
proprio li davanti una camiciola che sa da pipì
e intanto magari le guardano le cosce scoperte.


(Romano Pascutto - I zìngani)


Dedicata a Jasna ed a Svetlana.

giovedì 29 settembre 2011

Cristina Donà - Settembre




Il sole a settembre mi lascia vestire ancora leggera,

il fiume riposa negli argini aperti di questa distesa.

Tu mi dicevi che la verità e la bellezza non fanno rumore.

Basta solo lasciarle salire, basta solo lasciarle entrare.


E' tempo di imparare a guardare.

E' tempo di ripulire il pensiero.

E' tempo di dominare il fuoco.

E' tempo di ascoltare davvero.


L'amore a settembre mi ha fatto sentire ancora leggera.

Il giorno sprofonda nei solchi bruciati di questa distesa.

Tu lo sapevi che nessuna gioia nasce senza un dolore.

Basta solo farlo guarire, basta lasciarlo entrare.


E' tempo di imparare a guardare.

E' tempo di ripulire il pensiero.

E' tempo di dominare il fuoco.

E' tempo di ascoltare davvero.

E' tempo di imparare a cadere.

E' tempo di rinunciare al veleno.

E' tempo di dominare il fuoco.

E' tempo di ascoltare davvero.


L'amore a settembre mi ha fatto sentire ancora leggera.


mercoledì 28 settembre 2011

Fredrigo Fašnik - Di rabbia nera e bora scura


Il tempo si è compiuto
te ne compiaci.
Erano per te quelle parole?
Cerchi di distinguere nell'acqua
quali sassi vi avevi lanciato
e se ciò è rifugio nel trascorso,
questa pena ti sia lieve.
Arrotoli i pantaloni
entri scalzo, a tentoni forzi il letto.
Le nuove parole, ancora per te?
Pulsione nata da un equivoco
"ho invertito i soggetti"
mi scuso e veloce smantello la tenda.
Un solo spettatore
in questa insolita scena
lo stecchino in bocca
non comprende o finge,
sorride e ti porge la mano.
E per me nemmeno una voce.
Per me che sono già di spalle
aperto verso un altro fiume.
E ancora parole e ancora per te.

giovedì 22 settembre 2011

Messaggio - E.m.


Di fronte a me ti sei posato.
Hai sollevato con due dita
il pesante velo dell'indifferenza,
il velo di una sposa promessa al mondo.
Ma non al tuo.
Così senza velo ora ti sono davanti.
Nessuna damigella, niente anelli.
In dote il mio essere, di nuovo emozione.
Promessa al mondo.
Che ora è il tuo.


mercoledì 21 settembre 2011

'Ndola tu son,amor - Biagio Marin


'Ndola tu son, amor, che no tu rivi?
Da largo xe rivada la provensa,
da largo xe rivàe co tanti sighi
silise a nenbo, un svolo de semensa.

E fin al leto riva el sol per tera
e i gno gerani sgionfa i so butuni;
el mar xe in sogno drento la speciera,
corcali svola fora dai barcuni.

Comò tu fa a no vigni col vento,
col profumo in t'el sol del tamariso?
Son qua che speto verta ogni momento
e 'nbriaga de sol in duto 'l viso.


giovedì 15 settembre 2011

mercoledì 14 settembre 2011

Pier Paolo Pasolini


Senza di te tornavo, come ebbro,
non più capace d'esser solo, a sera
quando le stanche nuvole dileguano
nel buio incerto.
Mille volte son stato così solo
dacché son vivo, e mille uguali sere
m'hanno oscurato agli occhi l'erba, i monti
le campagne, le nuvole.
Solo nel giorno, e poi dentro il silenzio
della fatale sera. Ed ora, ebbro,
torno senza di te, e al mio fianco
c'è solo l'ombra.
E mi sarai lontano mille volte,
e poi, per sempre. Io non so frenare
quest'angoscia che monta dentro al seno;
essere solo.



martedì 6 settembre 2011

La disdetta - Stephane Mallarmé


Alte sullo stordito armento degli umani
Balzavano di luci le selvagge criniere
Dei mendichi d'azzurro col piede qui sui piani.


Fin nella carne un vento spiegato per bandiere
Oscuro flagellava di freddo il loro andare
E ancora vi scavava rughe d'ira severe.


Sempre con la speranza d'incontrarsi col mare,
Viaggiavan senza pane, senza bastoni o urne
Mordendo il cedro d'oro dell'ideale amaro.


Rantolarono molti nelle gole notturne
Felici, ebbri del sangue lento da lor fluente,
O morte, solo bacio su bocche taciturne!


La lor disfatta è opera d'un angelo possente
Ritto sull'orizzonte, d'una spada al bagliore:
Porpora si rapprende sul cuor riconoscente.


Come già prima il sogno or succhiano il dolore
E quando vari ritmando lamenti voluttuosi
Il popolo si china e la madre ne ha onore.


Quelli son consolati, sicuri e maestosi;
Ma accanto di fratelli hanno una schiera ignota,
Beffata, martoriata dai casi più tortuosi.


Il sale ugual dei pianti rode la dolce gota,
Si cibano di cenere col medesimo amore,
Ma è volgare o burlesca la sorte che li ruota.


Potevano eccitare anche come un clangore
La servile pietà delle razze malferme,
Prometei cui manchi vùlture roditore!


No, vili e persi in vaste sabbie senza cisterne
Corron sotto la sferza d'iroso dittatore:
La Disdetta, il cui riso ignoto li prosterna.


Amanti, salta in groppa terzo, il separatore!
Poi varcato il torrente vi tuffa in acqua amara
E fa un masso fangoso di voi doppio candore.


Grazie a lui, se uno soffia la buccina bizzarra,


Ragazzi ci torceranno in un riso ostinato
Scimmiottando, la mano sul dietro, la fanfara.
Grazie a lui, se uno orna ecco un seno seccato


Con una rosa nubile che vi porta chiarezza,
Bava luccicherà sul suo fiore dannato.
E questo nano scheletro, piumato per vaghezza,


Calzato, cui l'ascella peli in vermi ha converso,
Per essi è l'infinito della vasta amarezza.
Vessati essi non vogliono provocare il perverso,


La lor daga stridendo segue il raggio di luna
Che piove sul carcame e vi passa attraverso.
Mesti senza l'orgoglio che sacra la sfortuna,


Tristi di vendicare l'ossa a colpi di becco,
Essi agognano l'odio e non l'astio che abbruna.
Essi sono il sollazzo d'ogni gratta-ribeca,


Di marmocchi, bagasce, della vecchia semenza
Dei pezzenti che danzano quando la brocca è secca.
I poeti che vivono d'ira e beneficienza


Non conoscono il male di questi dei oscurati,
Li dicono tediosi e senza intelligenza.
"Posson fuggire essendo d'ogni impresa saziati,


Come cavalli vergini schiumano di tempesta
Piuttosto che al galoppo partire corazzati.
D'incenso il vincitore sazierem alla festa:


Ma perché non indossano, essi, buffoni egregi,
Cenci scarlatti urlando che tutti ci si arresti!"
Quando tutti sul viso gli han sputato i lor spregi,


Nulli ed a bassa voce invocando che tuoni,
Questi eroi eccessivi di scherzosi disagi
Vanno ridicolmente a impiccarsi ai lampioni.



domenica 28 agosto 2011

25


Pare che l'aria stasera
porti tremori in spirito
vibrazioni silenziose,
rintocchi gravi di
campane mute,
che a me solo
è dato di captare.
Ed io
solo
resto in ascolto

e veglio.


mercoledì 24 agosto 2011

Giovanni Giudici - Una sera come tante


Una sera come tante, e nuovamente
noi qui, chissà per quanto ancora, al nostro
settimo piano, dopo i soliti urli
i bambini si sono addormentati,
e dorme anche il cucciolo i cui escrementi
un’altra volta nello studio abbiamo trovati.
Lo batti col giornale, i suoi guaiti commenti.

Una sera come tante, e i miei proponimenti
intatti, in apparenza, come anni
or sono, anzi più chiari, più concreti:
scrivere versi cristiani in cui si mostri
che mi distrusse ragazzo l’educazione dei preti;
due ore almeno ogni giorno per me;
basta con la bontà, qualche volta mentire.

Una sera come tante (quante ne resta a morire
di sere come questa?) e non tentato da nulla,
dico dal sonno, dalla voglia di bere,
o dall’angoscia futile che mi prendeva alle spalle,
né dalle mie impiegatizie frustrazioni:
mi ridomando, vorrei sapere,
se un giorno sarò meno stanco, se illusioni


siano le antiche speranze della salvezza;
o se nel mio corpo vile io soffra naturalmente
la sorte di ogni altro, non volgare
letteratura ma vita che si piega nel suo vertice,
senza né più virtù né giovinezza.
Potremmo avere domani una vita più semplice?
Ha un fine il nostro subire il presente?

Ma che si viva o si muoia è indifferente,
se private persone senza storia
siamo, lettori di giornali, spettatori
televisivi, utenti di servizi:
dovremmo essere in molti, sbagliare in molti,
in compagnia di molti sommare i nostri vizi,
non questa grigia innocenza che inermi ci tiene

qui, dove il male è facile e inarrivabile il bene.
È nostalgia di un futuro che mi estenua,
ma poi d’un sorriso si appaga o di un come-se-fosse!
Da quanti anni non vedo un fiume in piena?
Da quanto in questa viltà ci assicura
la nostra disciplina senza percosse?
Da quanto ha nome bontà la paura?

Una sera come tante, ed è la mia vecchia impostura
che dice: domani, domani… pur sapendo
che il nostro domani era già ieri da sempre.
La verità chiedeva assai più semplici tempre.
Ride il tranquillo despota che lo sa:
mi numera fra i suoi lungo la strada che scendo.
C’è più onore in tradire che in essere fedeli a metà


martedì 23 agosto 2011

Perfino tu - A. Parrossi


Sì ricominciare ma tutti sanno
che le valigie di quel viaggio
rimangono piene ai piedi del letto
niente è cambiato nell'inconsistenza della notte
chiunque abbia posto al riparo il mio cuore
poi se n'è andato senza lasciare indirizzi

perfino tu a cui non ho chiesto niente
hai sbattuto la porta partendo
accusandomi di volere troppo

perfino l'uomo che in punta di piedi
mi salutò
non sa mancarmi come dovrebbe
e si impilano lungo i binari morti
le stelle come alfabeti


martedì 16 agosto 2011

Il disturbatore indisturbato

[...]

Candida la tua figura al solo apprestarsi al palco attrae l'occhio del bue.

La battuta seguente è una malattia. E comunque è venerata.

Accorrono poi i monatti a raccogliere le tue suppurazioni. Ogni goccia che stilla dalla tua piaga, detergono e conservano, tra bende bianche diventate scure.

Non ti servono campanellini o differenti segnali, il loro orecchio è sempre teso, pronto al tuo apparire.

Ecco lo sconforto dei presenti: dalle tue mani fai colare un sole liquido, oro e nero verso le mie che, sole, non lo riescono a contenere.


[...]

domenica 14 agosto 2011

Non torno subito

Un morso di sole, che mi uccide le palpebre

un taglio netto.

Netto contrasto di cuori legame dissonante

di una danza d'anima.

Animale assorto nel tempo dell'attesa

che non pesa e forma

richiama sotto coperte di cartavetrata.

Vetrata che si frantuma davanti alla nostra risata,

alla nostra verità, nel fondo del bicchiere,

del lago sommerso dagli sguardi dei passanti

mentalmente assenti.

Legati alla cintura d'idiozia

che incatena e li trapassa,

dando un senso all'esistenza insipida,

seduta in un angolo ad annuire

a discorsi sul tempo che passa.

Passa, come l'uva in qualche sorta di dolce,

in questa dolce sorte toccata a noi.



sabato 13 agosto 2011

Tolo Da Re - Stela Alpina



Stela alpina
fior co la fanela,
te sì come na butela seria,
orsa e pitosto freda:
na butela che conosseva mi,
che ciare òlte l'à dito de sì.

Stela alpina sensa parole,
distante da le ciàcole del prà,
incantà nel to mondo
che l'è un gran còro infervorà de acute:
così lìbaro e neto
da lustrarte l'anima in pèto.

Te sì del sol
ma anca de la luna,
stela alpina:
veludo tra la rocia,
come quela butela che so mi,
che ciare òlte l'à dito de sì.



ciare=rare


giovedì 4 agosto 2011

Co te sento, Poesia


Cossa che sia no so
sta corente
che da drento

me ingruma
e cori,
me cori drento
e zerca sfogo, zerca

e lo trova

zigando

ma dai mi oci




giovedì 28 luglio 2011

Dolcete(r)rapia


La fiuto
promessa di conato
liberatorio
e finale

Risoluzione massima
del diaframma
del mio occhio


La fiuto
erba medica pura
nuova lunazione
mestruale

Mi chino
sul cadavere
morto tuo sangue
che accetto e amo

Tensione massima
frenetici spasmi
del mio cuore


La tela
si tende estrema
imene già lacero
pronta a partorire

L'alba nuova
vedrà
l'essenza primigenia
e femmina

a lungo covata
a lungo celata
a lungo mascherata

e in caldi

colori

esplosa


8:45 - E.m.



Sarebbe bello incontrarti all'uscita dal sogno

Sentirsi addosso il peso degli anni separati

E pensarli solo una necessaria coincidenza





lunedì 25 luglio 2011

Divertimento-Ernesto Calzavara


Far l'amor
sora i radici rossi de un orto
drento un baro de ortighe
nudi
sora le tastiere unite
de do pianoforti
a coa
fra do elettromagneti
de pochi volts
stravacai sul banco de 'na banca
sora 'na superfice
irta
di ostacoli morali.

Far l'amore
butai zo sui tapei duri
de le ipotesi inverificabili
de le speranze deluse
tra le imagini e i segni
taci sora 'na tavola de logaritmi
sconti soto 'na vecia scala
de
valori culturali
millimetrata
a cavalo de un raggio
laser
tuti do streti
in una capariola celeste
sfinidi da un calcolo
infinitesimale
fa do
parallele convergenti
giusto però sora la linea
del meridiano de Greenwich.

Far l'amor
coi oci su le zuche baruche
dei nostri destini inçerti
par gl'inçerti mestieri de l'omo
nel cuor de 'na cassaforte
(metri do par tre)
co' dentro luce al neon busi par respirar
piena de speranze de marenghi d'oro novi
de veci
dobloni de Spagna
de
decagrammi siracusani
perle e brilanti.

Far l'amor
convinti da la
persuasione occulta
de un detersivo al mugheto
biodegradabile
ne la panza de un forno crematorio
stuà
destinà dopo a far pan
destirai su l'altar
de 'na ciesa sconsacrada
(e chi lo sa?).

Far l'amor
in un buso de la gran scheda perforata
de Dio
a mile metri soto tera
quando che sciopa in alto
il Gran Ordigno
o in fondo a un cratere de luna
con zuppa inglese tra due seni.

Far l'amor
comodai sora un leto de ciodi basso
o su nel bombaso
de 'na nuvola rossa al
tramonto
della nostra civiltà
o da ultimi turisti ancora vivi
su l'erba zala
de la
Valle di Giosafat
intanto che sona le trombe
il Giudizio Universale.

Far l'amor.


giovedì 21 luglio 2011

Il Re delle Brecce- Fernando Pessoa


E' vissuto, non so quando, forse mai -
ma di fatto è vissuto - un re sconosciuto
il cui Regno era lo strano Regno delle Brecce.
Egli era sovrano di ciò che era tra una cosa e l'altra,
dell'infraessere, di quel lato di noi
che giace tra la nostra veglia e il nostro sonno,
tra il nostro silenzio e le nostre parole, tra
noi e la coscienza di noi; e così
uno strano silenzioso regno ha tenuto quel misterioso
re nascosto alla nostra idea del tempo e dello spazio.

Egli governa, non coronato, quei supremi propositi che
non raggiungono mai l'azione - tra essi stessi e
l'azione incompiuta. Egli è il mistero che
si interpone tra gli occhi e la vista, nè cieco, nè vedente.
Egli stesso non ha avuto mai fine nè principio,
vuota mensola al di sopra della sua vana presenza.
Egli non è se non l'abisso del proprio essere,
una scatola scoperta che contiene la non-ricchezza del non-essere.

Tutti credono che sia Dio, tranne lui stesso.



domenica 17 luglio 2011

Rino Gaetano - Cerco




E al mattino al mio risveglio cerco in cielo gli aironi
e il profumo bianco del giglio
cerco in tutte le canzoni e in un passero sul ramo
uno spunto per la rivoluzione
cerco il filo di un ricamo un accordo in la minore
per gridare forte t'amo
se ho degli attimi di rancore cerco te e la tua bocca
nei tuoi occhi trovo amore
cerco la mia malattia in un bar e nelle carte
la mia dannata periferia
cerco gli occhi di chi parte
di chi si ferma e chi va in fretta
la sincerità nell'arte
cerco il punk in una lametta la felicità ed il dolore
nel fumo di una sigaretta
se ho degli attimi di rancore cerco te e la tua bocca
nei tuoi occhi trovo amore

giovedì 14 luglio 2011

Fredrigo Fašnik - Ništa


“Dormi ora!" Il bambino proprio non ne vuole sapere e la chiama ancora.”Mamma, vieni! Non riesco a dormire. Ho paura. Non riesco a star solo!“ La mamma si avvicina alla porta, lo guarda apprensiva dall'uscio. “Metti la testa sul cuscino, da bravo, riposa”. “Mamma, vieni vicina, raccontami una favola”. La madre accondiscendente si siede al capezzale e premurosa raccatta il libro dal pavimento ed inizia a raccontare. Una favola che diventano due e poi tre. Le ore passano assieme alle favole. Il bimbo non cede al sonno. “Ora chiudi gli occhi..e riposa” si alza e cerca di guadagnare l'uscita per concedersi finalmente un po' di riposo. “Mamma ti prego non te ne andare come farò a star qui senza di te?” E' già tardissimo ormai. Lei lo lascia piangere ancora e si butta a letto stremata. Pochi minuti e si fa il silenzio. Un silenzio che alla madre pare strano. Si alza e va a controllare che il suo bambino stia bene. Il pargolo si sveglia sentendo i passi della mamma e riattacca le invocazioni “ mamma , ti prego vienimi vicino, non riesco , non riesco a dormire senza te.” Quanta pena nel cuore della madre. “ Ah, se ti avessi insegnato prima a dormire da solo. Se solo ti avessi abituato da piccino." Il bambino intanto si aggrappa al grembo della madre già china sul lettino. Ed incomincia a vaneggiare “ voglio spiegarti mamma, voglio spiegarti perchè ho paura del buio.” Ed inizia a parlare senza sosta, per minuti, ore interminabili. La mamma quasi crolla dal sonno. Ma non lo vuole lasciare. Ed il bimbo la pretende accanto a se.

E l'alba li coglie così. E la sveglia della mamma, sul suo comodino, cinque minuti dopo.



mercoledì 13 luglio 2011

All'interno della torre

[...]

L'accesso fortunoso mi è consentito da un pertugio aperto da un brivido, da una risata innaturale. Al centro della stanza un astrolabio in congiunzione fissa Venere e Urano.

“Finestre aperte e luminarie accese”, ripete l'adagio appeso alle pareti.

All'interno giaci avvinta tra mille cuscini, distrutta dalla scelta di dove posare il capo. Mi vedi. Avanzi verso di me e mi porgi un libro. “Scrivi” mi dici. “Scrivi di te e me”.

Prendo il libro gonfio e mi siedo a terra, in un loto bambino. Lo apro e comprendo. Non una pagina è salvata, tutto è sporcato da una lorda tara pesante. Sorrido, lo poso in disparte.

Il maleficio è stato lavato, lo sento. La tua pelle sta perdendo la patina nera, si sbriciola e cade. Stai mutando.

E in questo scuotersi di anime le mie parole necessitano di ben altro supporto. Reale e doloroso. E che forse ha come scrigno il tuo corpo.

[...]


martedì 12 luglio 2011

Fernanda Romagnoli - Il tredicesimo invitato


Grazie - ma qui che aspetto?
Io qui non mi trovo. Io fra voi
sto come il tredicesimo invitato,
per cui viene aggiunto un panchetto
e mangia nel piatto scompagnato.
E fra tutti che parlano - lui ascolta.
Fra tante risa - cerca di sorridere.
Inetto, benchè arda,
a sostenere quel peso di splendori,
si sente grato se alcuno casualmente
lo guarda. Quando in cuore
si smarrisce atterrito "Sto per piangere! "
E all'improvviso capisce
che siede un'ombra al suo posto:
che - entrando - lui è rimasto chiuso fuori.




venerdì 8 luglio 2011

Max Gazze' - Quel Che Fa Paura



Quel che fa paura
come i tasti estremi del pianoforte
come le falangi delle dita
quando la mano è magra,
prima della morte
Quel che fa paura
come quelle strade in salita
sbarrate soltanto dal cielo
da quelle dita
Quel che fa paura
come le scale di legno di gialle cantine
come le statue di marmo nelle chiese
come le donne nude e distese,
viste dal rosa di tendine
Quel che fa paura
come la scia di un benzinaio aperto,
nelle strade di deserto americano
come i fulmini senza tuono
di primavera rumena
dove il povero è buono
e il cattivo non piega mai la schiena
Quel che fa paura
quel che fa paura...

Quel che fa paura
come il giallo lampeggiante
dopo l'ora di cena
come l'ora di cena
quando il giallo lampeggia
e non hai neanche il pane da mangiare
Quel che fa paura
come un battesimo bianco
consumato nel fango
come una cresima dal sapor di buco nero
e di nozze ammazzate gridando
"non aver paura, non aver paura"
A un bambino queste cose son lontane
come salti di rane
dentro immense paludi
come sputi a gola secca
scagliati contro un'onda del mare.


giovedì 7 luglio 2011

Fredrigo Fašnik

...
e il passato
svanisce dalla scena
come una donna cinese
cammina sui tacchi



martedì 5 luglio 2011

Folisca che no mor- Nino Cela


Te ò vist de qua e de là,
an poc da par tut,
co 'l ciaro e co 'l scur,
folìsca che no mor.
Te ò anca sentist,
poesia,
ma no son bon scoltàrte,
in pugn no so ciaparte..
ò pégre mi le man
e la ment tardìva,
el cor crut e sut,
e rùstega la péna...

Mi no te ò in vetrina,
ma stàme istés da rénte
a farme conpagnia.
Te preghe...
o me regina!

Poesia nel dialetto bellunese del "basso-feltrino" (il mio..)


lunedì 4 luglio 2011

El tran - Anita Pittoni


El tran cori rabioso su le sine.
"Cossa te fa, tranvier?
Te xe imbilà,
te se sfoghi dandone sti scassoni?
Te urtemo qua impalai?
In pìe, sentadi,
te ne sbaloti come marionete
coi fili laschi,
'bandonade.

No sta esser rabioso,
cussì senza maniera!
Pòrtine pian,
no sta frenar de colpo,
va lisso, almeno ti"

Le dondola le teste,
el cuor se strenzi
che sto scasson
el se combina drento
con la paura sconta,
el zuca fora tuto,
el zuca.

"Va lisso, tranvier,
xe brutto quel che te fa,
sfogarse con noi,
coss' te sa ti de noi,
bruto omo cativo
te darìa un pugno in tala testa,
semo el tu' pan, semo! "

El tu' pan? El mio pan?
Metèndome al tu' posto
cossa farìa?

Darìa scassoni, darìa
sì,
assai più forti,
zente de paia
zente insempiada
persa
zente senza figà,
musi de piera,
scàssili, tranvier
che i spudi fora l'anima,
che sia finì,
guarda che musi,
che voia de spacar ste teste.
Ferma, tranvier,
speta che smonto.

lunedì 27 giugno 2011

Bâte gnifa - Biagio Marin


Nessuna roba al mondo xe più bela
de b
âte gnifa duto 'l santo dì
e compagn
â co' l'ocio garghe vela
fin che te vien la vogia de drumì.

E colegài là sul sabion ardente
scold
âsse i ossi soto 'l sol d'istàe
e st
â senti che 'l mar continuamente
el pianzota, cussì da fa pietàe.

E co s'à 'l sangue za ben brostolào
sogn
â de basi e d'onbra fresculina
e dormens
âsse dopo un bon sussiào
là soto 'l sol, in meso a la marina.


Bate gnifa= battere la fiacca
garghe=qualche
drumì=dormire
colegài=sdraiati
sussiào=sbadiglio

domenica 26 giugno 2011

Fredrigo Fašnik - Lacrimasciutta


In questa notte calda
del mio incubo viola
sono solo un involucro
ripieno di un amore
senza sbocco.

Avessi vicino
il tuo corpo nudo
amore in fasce
tra le bende
delle mie lenzuola.

Avessi vicina
la tua pelle
diafana e pura
carta bianca
per il mio sfogo.


lunedì 20 giugno 2011

Fernando Bandini-I puteleti del vampiro


Qua da ste parti
ghe xe posti valivi,
co mus-cio de oro verde.
Qua, a ramòcia, l'ombra xe parona,
se se perde
par cavedagne mòrbie
come le fossolete de na dona.

Dopo le siè de sera
co tase le campane
e le sfese e le rame
s'impenisse de osèi che va a dormire,
se sente un sgrisolare
de vento e foie in giro
e dai scaranti
vien fora i puteleti del vampiro.

I zuga coi botoni
del so camisolin,
i fa le pirolete
tegnendose a delin,
i denti ga macete
de sangue e spanavin;
britolete e massanghi
i gussa co la pria,
fin che l'ultima giossa
del giorno xe finìa
e dei so oci resta solo el bianco.

Riva un nuvolo basso
che ingiotisse el celeste,
sarà porte e finestre
le case ga 'l tremasso.
Luri i fa 'l girotondo,
i se conta falope,
za paroni del mondo.
E ghe sbrusa la voia
de scoar co le strope
le tete a le putele
indromensà te camare de luna,
de garzar gole,
vèrzare vene latarole in cuna.

Ma ti, sità distante
co le lumiere a s-ciapi
che simega tel vento,
no credarte al sicuro,
xe mejo che te scapi
cavando le raìse de le case.
I sente odor de sangue, i vien da ti,
i sente sfritegare
par le to piasse e strade
sparagagna de omo i puteleti
dai oci de sisara,
in fila e siti lungo na ruara.

(Fernando Bandini-I puteleti del vampiro)


martedì 14 giugno 2011

Julio Cortazar - HAPPY NEW YEAR


Guarda, non chiedo molto,
solamente la tua mano, tenerla
come una piccola rana che così dorme contenta.
Io ho bisogno di questa porta che aprivi
perché vi entrassi, nel tuo mondo, questo pezzetto
di zucchero verde, di tonda allegria.

Non mi presti la mano questa notte
di fine d'anno, di civette rauche?
Tu per ragioni tecniche non puoi. Allora
io la tesso nell'aria, ordendo ogni dito,
e la pesca setosa della palma
e il dorso, questo paese d'alberi azzurri.
così la prendo così la sostengo, come
se da ciò dipendesse
moltissimo del mondo,
il succedersi delle stagioni,
il canto dei galli, l'amore degli uomini.

lunedì 13 giugno 2011

Luciano Erba - Qualcosa



E' una via di Milano
e veloce
vado verso occidente.
Già si vedono delle luci
ma il cielo è ancora chiaro
chiare le nuvole lontane.
Tra poco svolterò
per tornare ai miei libri
raccolto
nel loro segreto
e a notte
sarò dietro le imposte
come una statua ansiosa.


domenica 12 giugno 2011

Calicanto - Violeta Adriatiche




Gavesse le virtù
che gà la vigna
par le mie mura farte rampegare
vegnirme a ritrovar
tra do' nissioi
un baso e pò saverme consolare
..

...

martedì 7 giugno 2011

Virgilio Giotti - Ciaro de luna


Xe vignuda la luna
drento. Fin qua de mi
la xe rivada, bianca
sul bianco del cussin.

'Sta luse me la sento
sul viso come un'àqua;
come 'na fina neve
me la vedo vizin.

In 'sta note che sanguino
me la go trovà arente;
'sta luse me ga dito
una bona parola.

Me alzo. Vado a vèder
el monte, i orti, i albori
grandi. Resto a fumar,
pozado su la tola,

nel ciaro che par giorno.

...

lunedì 6 giugno 2011

Primavera - Manlio Malabotta


Pa' la strada che fazo
'gni matina
chieta strada tra i albori spoi
stamatina
go visto
pindolar 'n tu-una graia
'n goldon.

I torna far l'amore
a l'averto:
domani trovarò la prima primula.

....

mercoledì 1 giugno 2011

Di ipotesi IN-VE-RI-FI-CA-BI-LI

[...]

E non sono nemmeno mura di Gerico, le tue. Crollerebbero di certo al tuono della mia voce. Invece, queste tue, resistono.

Una sera, lo confesso, t'ho spiata. Ti sei ritirata dentro le ciglia di un silenzio. Hai posato il tuo scrigno caldo (quella "urna molle e segreta" dei desideri altrui) davanti a tre specchi. E sul tuo sputo contro la piuma hai pronunciato l'incantamento. Il soffio estatico scaturito ti ha condotto a una visione: Sei tu. Ti sporgi da una torre, e mi vedi avvicinare, a cavallo di un topo. Verso le tue mura.

Le tue mura le hai erette nel pianto sordo e nell'acqua lustrale. Con la fede nel tuo mistero zoppo. Un piede più corto e un ciuffo nero strappato davanti agli occhi. Le tue mura sono erette per separare. Ma il sortilegio è monco. Manca di chiusa risolutoria. Di un'ipotesi liberatoria, manca di costrizione.

Separata al mondo, ma da un malinteso, da un orlo rigirato di pantaloni che ancora portano appuntati gli spilli. Vera solo e soltanto al tappeto onirico delle mie notti, ma implacabile, inflessibile ed algida come l'alba che mi sorride beffarda. [...]



martedì 31 maggio 2011

Ripartire da Milano - Oscar Locatelli



Tra cosce a rete
e poveri incravattati
con la forfora
l'impagabile visione
di muratori sulle panchine
di Milano
che chiacchierano
muovendo lo stuzzicadenti.

Tra tram e metrò
cavi cuori tradimenti
anni di galera
e vite che corrono
qualcosa di nuovo
ci lega al passato.

Forse non perderanno
il posto di lavoro
forse vivrà
la nostra parte migliore

non morirà
la classe operaia.



sabato 28 maggio 2011

Come se - Ernesto Calzavara



Come se quel che xe
èsser dovesse ancora
come se quel
che ga da èsser
fusse quelo che xe

come se tra mi e ti
ghe fusse tutto
e no ghe fusse gnente

come se fontana che ride
e putelo che piaze
e omo che laora
e s-ciantisso che fulmina
fusse 'na roba sola
che no se pol cambiar

come se ne tocasse
restar par sempre
e vivar con un senso
quel che senso no ga

come se .

(Come se - Ernesto Calzavara)




A chi ha paura dei treni assassini, pur viaggiando all'interno. A chi ha negli occhi legioni d'armi orientali. ..Come se..



domenica 22 maggio 2011

Le barricate misteriose-Silvia Bre

Prima di darsi al sole l'uccelletto
teso sul ramo forse aspetta un uomo
o prega l'uccelletta - spezzami un'ala
fa' che sia fermo a questo giorno nuovo,
eternamente tolto al maestoso
navigare del cielo come uno
che ha colto il fiore suo,
il suo solo , e lascia prati interi
alla malinconia di un altro.
Ma non viene nessuno - così lo vince il volo.




mercoledì 18 maggio 2011

In sogno i morti - Fernanda Romagnoli


Vengono i morti nel sogno,
ci affiancano se ne rivanno,
talvolta danno un segno - ma diviso
da noi - candela mossa dietro un vetro.
Così mio padre mi s'accende accanto
nel buio che mi fascia.
«Vieni per dare o per chiedere?» m'affanno.
«È la medesima cosa» - e in un sorriso
si spegne, come annottando sulla riva
l'acqua, che del suo viaggio fiammeggiante
non lascia nessun pegno.



domenica 15 maggio 2011

Signorina Morte- Carolus L. Cergoly

...
...
...
Signorina Morte
sempre giovane e viva
piena de brio
e piena de capricci
me disé vegno
e po no vegnì mai
ve go spetà ridendo
in quela curva mata
longa e piena de sol
eccola me go dito
e po no sé vegnuda

Sentà in poltrona
tra libri e vin del Reno
calmo fumando
el cuor me stava zitto
ve gò spetà
fisso vardando
la tenda de la porta
me gavé dito vegno
e mi ve gò spetà
ma al nostro randé vu
sempre me sé mancada

Cattiva signorina
che tormento me dé
so che sé bella e fresca
e delicata e fina
canta la bocca
el ritornel che so
oggi no vegno
domani vegnarò

Morte perché con mi
fe la sgualdrina
tutta profumo e piena de bugie

Volé che stamattina
s'incontremo cussì
come per caso
solo per dirse adddio
e no vèderse più



martedì 10 maggio 2011

Ti Sto Cercando - Massimo Volume




Che fine hai fatto?
Ti sto cercando
Hai riempito i miei giorni
Hai svuotato i miei giorni
Hai creato quello che non ero mai stato
Al di là di ciò che è bene
Al di là di ciò che è male
Al di là di ciò che è giusto e sbagliato
Mi hai fatto vedere cose che nemmeno immaginavo
Dove sei finito?
Voglio ricordarti
che hai bisogno di me
Sono quello che non riuscirai mai a essere
La tua forma, il tuo corpo
Non sento la tua mancanza
Voglio solo sapere
se quello
che sto facendo
ha un senso



martedì 3 maggio 2011

Mercedes sosa - La maza



IL PICCONE

Se non credessi alla follia
che sta nella gola del sinsonte (*)
se non credessi che la montagna
nasconde il suo canto e la paura

Se non credessi alla bilancia
alla ragion dell’equilibrio
se non credessi nel delirio
se non credessi nella speranza

Se non credessi in ciò che faccio
se non credessi nel mio cammino
se non credessi nel mio suono
se non credessi nel mio silenzio.

Cosa sarebbe, cosa sarebbe,
il piccone senza la cava
un impasto di corde e tendini
un ammasso di carne e legno
uno strumento senza altro splendore
che piccole luci sulla scena
Che cosa sarebbe – amore mio – cosa sarebbe
che cosa sarebbe il piccone senza la cava.
Un complice del rubapplausi
un servo antico in veste nuova.
Un sublimatore di divinità decadute
gioia mischiata a stracci e lustrini
che cosa sarebbe – amore mio – cosa sarebbe
che cosa sarebbe il piccone senza la cava.

Se non credessi in ciò che è difficile
se non credessi al desiderio
se non credessi in ciò in cui credo
se non credessi in qualcosa di puro.

Se non credessi in ogni ferita
se non credessi in ciò che lacera
se non credessi nel mistero
di diventare fratello della vita

Se non credessi in chi mi ascolta
se non credessi in quello che duole
se non credessi in quello che viene
se non credessi in quello che lotta.

Che cosa sarebbe, che cosa sarebbe
il piccone senza la cava
un impasto di corde e tendini
un ammasso di carne e legno
uno strumento senza altro splendore
che piccole luci sulla scena
Che cosa sarebbe – amore mio – cosa sarebbe
che cosa sarebbe il piccone senza la cava.
Un complice del rubapplausi
un servo antico in veste nuova.
Un sublimatore di divinità decadute
gioia mischiata a stracci e lustrini
che cosa sarebbe – amore mio – cosa sarebbe
che cosa sarebbe il piccone senza la cava.


(*)
Sinsonte (Italiano: Centonsle) Specie di merlo bianco o nero dal canto più modulato di quello dell’usignuolo.



giovedì 28 aprile 2011

E ti vengo a cercare





Fredrigo Fasnik - fasecontrofase

ti cerco e non ti so trovare
ti trovo e non ti so trattenere
e ancora ti ricomincio a cercare

un segnale è stato lanciato
dall'altra parte dell'universo
recepito e restituito eguale

chi siede in ascolto del codice?
chi per primo
farà il suo dito cadere?


martedì 19 aprile 2011

Mercedes Sosa-Todo Cambia




TUTTO CAMBIA


Cambia ciò che è superficiale
e anche ciò che è profondo
cambia il modo di pensare
cambia tutto in questo mondo.

Cambia il clima con gli anni
cambia il pastore il suo pascolo
e così come tutto cambia
che io cambi non è strano.

Cambia il più prezioso brillante
di mano in mano il suo splendore,
cambia nido l'uccellino
cambia il sentimento degli amanti.

Cambia direzione il viandante
sebbene questo lo danneggi
e così come tutto cambia
che io cambi non è strano.

Cambia, tutto cambia
Cambia, tutto cambia
Cambia, tutto cambia
Cambia, tutto cambia.

Cambia il sole nella sua corsa
quando la notte persiste,
cambia la pianta e si veste
di verde in primavera.

Cambia il manto della fiera
cambiano i capelli dell'anziano
e così come tutto cambia
che io cambi non è strano.

Ma non cambia il mio amore
per quanto lontano mi trovi,
né il ricordo né il dolore
della mia terra e della mia gente.

E ciò che è cambiato ieri
di nuovo cambierà domani
così come cambio io
in questa terra lontana.

Cambia, tutto cambia...


domenica 17 aprile 2011

Brano tratto da "L'ultimo dio" di Emidio Clementi


"Lo sai Giulia, che stamattina al parco un vecchio mi ha chiesto una cartina? Sì, una mappa stradale. Mi ha detto che vive in questa zona da quarant'anni e non l'ha mia vista sopra una mappa."[...]

Parliamo sottovoce, ci teniamo per mano. Mi piace raccontarle quello che ho visto durante il giorno e sentire cosa ha da dire. Di solito lascio a lei le riflessioni, io mi limito a descrivere i fatti.

"Chi c'è la mattina al parco?"

"I proprietari dei cani e i cani."

"E tu che fai?"

"I cani non li guardo mai. Mi fanno paura. Mi fa paura anche l'idea che loro sappiano che mi fanno paura."

"E che ci vai a fare?"

"E dove vado? Il metrò è chiuso, i bar pure. Se avessi un cane sarebbe perfetto. Trent'anni in più e un cane e farei perfettamente parte del paessaggio. Giulia, si troverà una cartina di questo quartiere da qualche parte?"

"Vuoi diventare amico di quel vecchio?"

Si, nella mia vita senza amici, che più o meno va avanti da quando sono partito, mi capita di commuovermi fino alle lacrime per un gesto di gentilezza e tra questi gesti ci metto anche uno che mi rivolge la parola.

Non mi vergogno con Giulia ad ammetterlo.

"Mi sento solo, Giulia"


Non avere amici significa fare a meno degli altri: me stesso che si ritrova a parlare a me stesso. Di solito c'è una certa complicità tra i due, ma a volte uno dei due si sente deluso dall'altro e si ammutolisce. A quel punto mi viene a mancare anche l'ultima possibilità di dialogo.

Sono in questi momenti che, se la commozione arriva, arriva come una botta violenta che non riesco a ricacciare dentro.

L'assoluta gratuità di un gesto, il senso di solidarietà.

Sono cose che esistono, le ho viste con i miei occhi e potrei piangere per questo, per un'unica stupida frase. Come è successo con il vecchio stamattina al parco.

Ma a volte ho pensato che fossero angeli.

[…]

Questo tipo di angeli appaiono solo quando vedi in faccia la solitudine e ti rendi conto che ne hai paura.



martedì 12 aprile 2011

Fredrigo Fasnik-412 stanze


Stanotte ho sognato di te.

Dopo che il bambino ha rivelato il suo segreto sciocco, ti sei voltata. Verso di me.

In silenzio ti ho preso in braccio. Com'eri leggera! Che sia così anche nella realtà? Poi dormivi o fingevi. Ma sorridevi. E mi bastava.

Abbiamo attraversato quattrocentoedodici stanze. Abbandonata sul mio petto. Mi respiravi sulle labbra. Neri i tuoi capelli. Bianchi solo alcuni. E sorridevi. E mi bastava.


...

domenica 10 aprile 2011

Nodesmentegartedemi - Romano Pascutto


Botancki vrt-Zagreb



Ancùo el pra' l'è tut un puntin celeste:
oceti de putèi che se sveia impetoladi
o de veci mezi stropadi stufi de vardar?
Un puntin no l'è nissun, tanti puntini
e tuti ingrumadi iè un popolo grando
che se fa scoltàr, come boche de logo,
come i papaveri che per vendicarse
de le sbertolade cative del vento
i vien fora co la bandiera rossa.


:

domenica 27 marzo 2011

Le passanti - Fabrizio de Andrè



Io dedico questa canzone
ad ogni donna pensata come amore
in un attimo di libertà
a quella conosciuta appena
non c'era tempo e valeva la pena
di perderci un secolo in più.

A quella quasi da immaginare
tanto di fretta l'hai vista passare
dal balcone a un segreto più in là
e ti piace ricordarne il sorriso
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
in un vuoto di felicità.

Alla compagna di viaggio
i suoi occhi il più bel paesaggio
fan sembrare più corto il cammino
e magari sei l'unico a capirla
e la fai scendere senza seguirla
senza averle sfiorato la mano.

A quelle che sono già prese
e che vivendo delle ore deluse
con un uomo ormai troppo cambiato
ti hanno lasciato, inutile pazzia,
vedere il fondo della malinconia
di un avvenire disperato.

Immagini care per qualche istante
sarete presto una folla distante
scavalcate da un ricordo più vicino
per poco che la felicità ritorni
è molto raro che ci si ricordi
degli episodi del cammino.

Ma se la vita smette di aiutarti
è più difficile dimenticarti
di quelle felicità intraviste
dei baci che non si è osato dare
delle occasioni lasciate ad aspettare
degli occhi mai più rivisti.

Allora nei momenti di solitudine
quando il rimpianto diventa abitudine,
una maniera di viversi insieme,
si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti a trattenere

(Testo tratto da una poesia di Antoine Paul.Musica di Georges Brassens)




....

martedì 22 marzo 2011

Giovanni Giudici - Richiesta di assistenza in un'ipotesi di suicidio



Essendo lo scartamento
Un metro e dieci eccezion fatta dell'Urss
E la mia altezza
Dalle piante dei piedi alle radici dei capelli
Cinquantasette forse centimetri in più
E' affatto ragionevole
Supporre che stendendomi di traverso
Sul binario a faccia in giù
Potrei salvare la testa spiccata dal busto
E i piedi con un po' di caviglie
E ne avanzerebbe - ma non pretendo
Che tu mi stia vicina fino all'ultimo
Ma almeno fino al penultimo momento
Quando i due fari
Foreranno la galleria
E raccontarmi inezie dirmi favole
Con la tua voce - su dormi buono e contento
E poi scappare e quando fosse passato
Il treno che i giornali frettolosi
Scriverebbero che mi ha maciullato
Ritornare sul posto chiamar gente
Senza bisogno di precisare
Che mi conoscevi biblicamente
Ma dichiarando che lì per caso
Trovandoti a transitare
E senza perdere d'occhio i periti settori
Raccattanti i pezzi del mio corpo
Aspetta con un pretesto ti prego di controllare
Tu stessa personalmente prima di andartene
Via per sempre.


(Giovanni Giudici - Richiesta di assistenza in un'ipotesi di suicidio)



quale treno
dovresti mai temere?
a morire dopo tutto
sarei io
non ti chiedo di
tenermi la mano
e nemmeno il filo
del discorso
che penzola interrotto...
solo un cenno con la fronte
da dietro a quel vetro
che solo ora m'accorgo
essere un finestrino.




domenica 20 marzo 2011

Sulla Poesia

Da "El mondo quel cin de sput" di Luciano Caniato

[...]

Adio tosat. La poesia l'è an fil
che liga col so oro-gnent.
Fe' cont che la madaja
sie' sti sgrisoloi che core
par la val del cor,
an mat che crede ancora
inte le coche-idee,
ch'el ponde el gnint
spetando an fior de maraveje.




Fredrigo Fasnik-99



Abbiamo davvero così

tanto tempo a disposizione
per lasciare a macerare
questo amore?



domenica 13 marzo 2011

Dino Campana - Una strana zingarella


Tu sentirai le rime scivolare
In cadenza nel caldo della stanza
Sopra il guanciale pallida a sognare
Ti volgerai, di questa lenta danza
Magnetica il sussurro a respirare.
La luna stanca è andata a riposare
Gli ulivi taccion, solo un ubriaco
Che si stanca a cantare e ricantare:
Tu magra e sola con i tuoi capelli
Sei restata. Nel cielo a respirare
Stanno i tuoi sogni. Volgiti ed ascolta
Nella notte gelata il mio cantare
Sulle tue spalle magroline e gialle
I capelli vorrei veder danzare
Sei pura come il suono e senza odore
Un tuo bacio è acerbetto e sorridente
E doloroso - e l'occhio è rilucente
È troppo bello, l'occhio è perditore.
Sicuramente tu non sai cantare
Ma la vocetta deve essere acuta
E perforante come il violino
E sorridendo deve pizzicare
Il cuore. I tuoi capelli sulle spalluccine?
Ami i profumi? E perché vai vestita
Di sangue? Ami le chiese?
No tu temi i profumi. Il corpicino
È troppo fine e gli occhi troppo neri
Oh se potessi vederti agitare
La tua animuccia tagliente tremare
E i tuoi occhi lucenti arrotondare
Mentre il santo linfatico e canoro
Che dovevi tentare
Spande in ginocchio nuvole d'incenso
Ringraziando il Signore
E non lo puoi amare
Christus vicisti
L'avorio del crocifisso
Vince l'avorio del tuo ventre
Dalla corona non sì dolce e gloriosa
Nera increspata movente
Nell'ombra grigia vertiginosa
E tu piangi in ginocchio per terra colle mani sugli occhi
E i tuoi piedi lunghi e brutti
Allargati per terra come zampe
D'una bestia ribelle e mostruosa.
Che sapore avranno le tue lacrimucce?
Un poco di fuoco? Io vorrei farne
Un diadema fantastico e portarlo
Sul mio capo nell'ora della morte
Per udirmi parlare in confidenza
I demonietti dai piedi forcuti.
Povera bimba come ti calunnio
Perché hai i capelli tragici
E ti vesti di rosso e non odori.


giovedì 10 marzo 2011

Il circo - Luciano Erba


Un circo è un circo, anche un piccolo circo.
Il mio paese sembrava più leggero
la sera, quando issata l'alta cupola
le bandiere si alzavano nel cielo,

quando un drin drin di giochi e carabattole
faceva più spediti il cuore e i passi
i colori apparivano più veri
nell'aria nuova, era marzo, era la sera,

soprattutto l'azzurro, la lontana
linea dei monti, il fumo dei camini
e la notte al di là del campanile
che attendeva la fune del funambolo.

Partiva il circo la mattina presto.
Furtivo, con trepestìo di pecorelle,
io poichè, fatti miei, stavo già desto
vedevo svanire il circo e poi le stelle.

mercoledì 9 marzo 2011

Francesco De Gregori - Povero Me



Cammino come un marziano, come un malato
come un mascalzone, per le strade di Roma
vedo passare persone e cani
e pretoriani con la sirena
e mi va l’anima in pena
mi viene voglia di menare le mani
mi viene voglia di cambiarmi il cognome
cammino da sempre sopra i pezzi di vetro
e non ho mai capito come
ma dimmi dov’è la tua mano
dimmi dov’è il tuo cuore?

Povero me, povero me, povero me
non ho nemmeno un amico qualunque
per bere un caffè
povero me, povero me, povero me
Guarda che pioggia di acqua e di foglie
che povero autunno che è
povero me, povero me, povero me
mi guardo intorno e sono tutti migliori di me
povero me, povero me, povero me
guarda che pioggia di acqua e di foglie
che povero autunno che è
guarda che pioggia di acqua e di foglie
che povero autunno che è.

Cammino come un dissidente, come un deragliato
come un disertore, senza nemmeno un cappello
o un ombrello da aprire, ho il cervello in manette
Dico cose già dette e vedo cose già viste
i simpatici mi stanno antipatici
i comici mi rendono triste
mi fa paura il silenzio
ma non sopporto il rumore
dove sarà la tua mano, dolce
dove sarà il tuo amore?

Povero me, povero me, povero me
non ho nemmeno un amico qualunque
per bere un caffè
povero me, povero me, povero me
guarda che pioggia di acqua e di foglie
che povero autunno che è
povero me, povero me, povero me
mi guardo intorno e sono tutti migliori di me
povero me, povero me, povero me
guarda che pioggia di acqua e di foglie
che povero autunno che è
guarda che pioggia di acqua e di foglie
che povero autunno che è…



domenica 6 marzo 2011

L'eremita - Max Gazzè



Salutò aggrappato ad un abbraccio
e le mani, veloci, sulla valigia
un cartone, ignaro e sorpreso,
a chiudere il pane fra i libri
Amico curioso a strisce
come la camicia svogliata
e gli umori tremendi
colorati per ogni notte in bianco
L'eremita
è un vuoto scalzo che misura il tempo
L'eremita
cammina la sua vita da solo

Quando decise di partire
e disse "addio" con volto non vero
e lui cammina piangendo storto
e nulla che rifletta il male
se non, acque immobili
a specchiare l'urlo del silenzio
oppure un occhio obliquo
che guarda e ti sorride male

L'eremita
un aquilone che volteggia nell'aria
L'eremita
un urlo che scolpisce l'anima

L'eremita coltiva la sua terra
e mischia il ricordo col fango
e l'uomo guarda il suo vestito
da tempo irriverente
rumore raro, di natura dormiente
che mi strappa la voglia di tornare
dove una folla di eremiti
organizza abbracci a vanvera

L'eremita
che conosco, è una memoria di schiena
che mi invita a pensare
che non voglio tornare